Tabù milanese numero cinque: la bruttezza.

by Isabella

La bruttezza fa paura come la povertà. La bruttezza è una fobia sociale, ed è subdola, come tutti i tabù. Un tabù che non riguarda solo Milano, certamente. Eppure posso assicurarvi che quando sono venuta a vivere qui, ho subito capito che questa città aveva un rapporto complicato con la bellezza. E così se sei brutto e hai la sfortuna di vivere a Milano, devi lottare ogni giorno, come nella giungla. Ma non in branco. In solitudine. Perché davanti agli altri devi sempre dare l’impressione di stare bene con te stesso, e solo quando torni a casa, puoi metterti a piangere sfogliando Vogue!

La letteratura ha raccontato spesso la rivincita dei brutti, come Cyrano de Bergerac, che scrive lettere d’amore a Rossana ma per conto di un altro, facendola innamorare perdutamente. O il Gobbo di Notre Dame destinato a vivere nascosto in un campanile a causa della sua deformità anche se è di animo buono ma nessuno lo sa. O ancora Renée, la portinaia de L’eleganza del riccio, che nasconde dietro un’apparenza sciatta il suo immenso amore per i libri e la cultura e che riesce infine a destare l’interesse di monsieur Ozu, un ricco e raffinato condomino giapponese, l’unico ad accorgersi della sua bellezza. Questi personaggi, romantici e poetici, hanno in comune il fatto di vivere nascosti nell’ombra, lasciando il palcoscenico ai belli, come se questi lo meritassero più di loro. Leggendo queste storie ci commuoviamo, simpatizziamo per loro e ci sentiamo delle persone migliori, ma nella vita vera, la storia è ancora un’altra. 

A scanso di equivoci, quando dico bruttonon intendo mostruoso, ma ciò che non è perfetto.

Milano è ossessionata dalla bellezza convenzionale. Tutto sembra dirlo, lo dicono le file nei centri estetici e nelle palestre, lo dicono i modelli che sfilano sui mezzi pubblici durante le settimane della moda e gli sguardi di ammirazione e imbarazzo. I milanesi, sia uomini che donne, per esprimere un giudizio positivo estetico su qualcuno, devono avere attentamente valutato ogni particolare. Non basta l’insieme. Non basta l’armonia. La mia amica Alba, siciliana anche lei, ha detto che un milanese non dice mai “sei bella” ma ti osserva dalla testa ai piedi e ti dice “sei in forma”. E’ proprio così, ed è veramente poco emozionante. E anche poco eccitante.

Sia le donne che gli uomini brutti in questa città non hanno vita facile. In entrambi i casi però, se si raggiunge una posizione economica invidiabile, è fatta: come per magia la bruttezza diventa bellezza! E se non ci si fa una posizione, si può almeno creare un personaggio interessante. Se non si riesce neanche a creare un personaggio però, allora sì che la propria autostima viene messa a dura prova, ogni giorno. 

Insomma in questa città nessuno è libero di farsi trovare imperfetto, neanche al supermercato. Per questo, ribellarsi, uscendo vestiti male o spettinati, non sentendosi a disagio, può considerarsi un vero e proprio atto rivoluzionario!

Sì, perché credo che concederci un po’ più di bruttezza ci renderebbe più liberi. Liberi dal giudizio altrui, ad esempio. Non sentite già quel peso enorme lasciare le vostre spalle, per cercare spalle più deboli pronte a ospitarlo? Ma soprattutto liberi di guardare quella parte di noi decisamente bruttina con immenso affetto, tenendocela cara, perché in fondo è grazie a lei che siamo diversi dagli altri. Solo abbracciando la nostra parte brutta, diventeremo belli. Anzi irresistibili.