Storie di giochi: Riccardo Albini il talent scout che portò il Fantacalcio a Milano

Se, durante il derby, nella fossa dei leoni, il vostro vicino esulta per un gol dell’Inter, vuol dire che è un giocatore di Fantacalcio.

Nel 1986 il giornalista milanese Riccardo Albini si trovava negli Stati Uniti, quando in una libreria di Chicago scoprì i Fantasy Sport. I Fantasy Sport sono dei giochi che durano una stagione, in cui ogni partecipante sceglie alcuni atleti e riceve dei punti in base alle loro prestazioni. Albini si chiese subito come potere adattare i Fantasy Sport al calcio italiano.

Pare che Albini di ritorno dall’America, sfogliando un libro di Fantasy Sport sul baseball, provò a scrivere le regole del Fantacalcio. Usò le pagelle del lunedì al posto delle statistiche americane.

Nel 1988, durante gli Europei, chiamò 8 amici e provò a giocare con loro. Si ritrovavano al bar La Goccia d’Oro di via Ausonio a Milano e per questo crearono la “Lega della Goccia d’Oro”. Gli amici si divertirono e così decisero di giocare ancora durante il Campionato di serie A 1988/89 coinvolgendo più persone. Era l’anno di Walter Zenga, Marco Van Basten, Franco Baresi, Roberto Baggio e Diego Armando Maradona.

Lo stesso anno, a mille chilometri di distanza, a Palermo, ignari del Fantacalcio, noi 4 cugini (una milanista, un’interista, un giallorosso e una tifosa del Napoli) ci riunivamo ogni domenica nel soggiorno della nonna a smaltire vittorie e sconfitte con un’agguerrita partita a Scarabeo.

Nel 1990 Albini pubblicò il regolamento del Fantacalcio, ma non ebbe moltissimo successo. Mentre nel 1994, quando lanciò insieme alla Gazzetta il concorso Fantacalcio a gran premio, si iscrissero 70mila persone. Alla fine degli anni 90 il bar Goccia d’Oro chiuse e poco dopo Albini decise di vendere il suo marchio editoriale al gruppo l’Espresso.

Pochi anni dopo, Albini, da talent scout quale era, portò in Italia un altro gioco: il sudoku.

Nei primi dei 2000 Albini adocchiò il sudoku su una rivista americana e così provò a fare giocare gli italiani, ma senza successo. “Nel paese dei cruciverba, chi si interesserà mai un arido giochino di soli numeri?” gli dissero.

Mi ricorda la scritta al Museo della Scienza di Milano “Chi mai potrebbe stare a guardare una scatola?”
La scatola era la tv.

Albini però non si arrese, aspettò che la moda del sudoku si diffondesse anche in Giappone, e ritentò. Così, nel 2005, su Focus Giochi uscì il primo sudoku italiano.

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Il libro Storie di Giochi di Andrea Angiolino dove ho letto queste due storie, è un libro bellissimo, perché leggendolo si scopre che dietro ogni gioco si nascondono delle vere e proprie avventure.

Come quella del Cubo di Rubik nato in Ungheria, che faticò moltissimo a superare i confini perché ritenuto troppo complicato, finché grazie alla perseveranza del suo inventore, diventò uno dei giochi più conosciuti al mondo. Ma quando Rubik diventò uno degli uomini più ricchi d’Ungheria, mantenne uno stile di vita modesto, e con i soldi guadagnati fondò un’istituzione per aiutare gli inventori di giochi a realizzare le loro idee.

O come la storia dell’Allegro Chirurgo. Il suo giovane inventore cedette ogni diritto per cinquecento dollari, non immaginando che il gioco sarebbe diventato famoso in tutto il mondo. Ma quando un giorno dovette subire una costosa operazione, alcuni autori di giochi, compresa la Hasbro raccolsero i 25mila dollari necessari.

I giochi sono intuizioni, sono pensiero laterale, sono evasione, sono un modo di conoscere se stessi e gli altri. E forse, proprio come gli amanti della musica che tendono a riconoscersi, anche gli estimatori dei giochi non dimenticano mai i loro compagni di gioco.

 

Isabella

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