Milano non odora di paese
by Paolo
Milano non odora di paese, tranne che in qualche angolo.
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L’odore di paese è rassicurante: di solito è quello del ragù di carne la domenica mattina, della legna bruciata nel caminetto quando arriva la sera, quello del pane sfornato la mattina presto, della resina dei pini nei pomeriggi d’estate o della terra coltrata un giorno dopo l’altro. È impossibile prendere in giro i propri sensi, nemmeno depistarli.
L’odore del ragù, secondo la ricetta di Pellegrino Artusi dovrebbe essere pressappoco composto così: “Coprite il fondo di una casseruola con fettine sottili di lardone o di carnesecca (quest’ultima è da preferirsi) e sopra alle medesime trinciate una grossa cipolla, una carota e una costola di sedano. Aggiungete qua e là qualche pezzetto di burro, e sopra questi ingredienti distendete carne magra di manzo a pezzetti o a bracioline. Carne di manzo buona; anzi per meno spesa si può prendere quella insanguinata del collo o altra più scadente che i macellari in Firenze chiamano parature. Aggiungere ritagli di carne di cucina, se ne avete, cotenne o altro, che tutto serve, purché sia roba sana. Condite con solo sale e due chiodi di garofani e ponete la casseruola al fuoco senza mai toccarla. Quando vi giungerà al naso l’odore della cipolla bruciata, rivoltate la carne…” Con tutta la buona volontà in Corso Como, in Buenos Aires ma anche sui Navigli il mio naso può inciampare in qualcosa di simile, ma la placcatura non è uguale all’originale. I chiodi di garofano non li sento da anni e qualsiasi naso farebbe fatica a trovarli in mezzo al profumo di Abercrombie & Fitch, kebab-cipolla-patatine fritte, l’odore barocco delle profumerie del centro. Per la legna del caminetto, qualche cosa di simile l’ho provata in Brera.
Qualcuno, proprio lì, brucia della legna, ma il problema è che Brera è troppo elitaria per essere casa, perlomeno casa mia. Immagino davanti al caminetto Philippe Daverio che tira un pippone atomico a una signora del 1600 sul mesmerismo. La mia mente poi sviluppa una nuova fantasia: durante la discussione la cameriera filippina fa cenno all’uomo di fatica caucasico di girare il ceppo mentre in un’ ascensione di schioccanti scintille arriva la voce del nipote che dice: ‘Nonna esco, ci vediamo per il sushi.’
Insomma no, no, non ci siamo. Sul pane, che dire. La grande città sforna orgogliosamente di tutto e a ogni ora del giorno: pensieri, trend, sportivi, veline. L’odore del pane, invece, non è un odore che si sforna veloce. Sale lento come la nebbia e pesante come un’impalpabile alga. Lo fa da mezzanotte in poi e di solito ti assale subito dopo che hai girato l’angolo. Il che è praticamente impossibile a Milano che è: tutta dritta fino a lì, poi giri a sinistra dopo l’incrocio, arrivato al benzinaio prosegui per un chilometro. Sulla resina dei pini poi non ci sono vie d’uscita: qui non c’è. Il perché è facile: il pino è pianta di solito marittima, abbronzata sul fusto e verde Garnier intenso nella chioma, che sviluppa aperta e ampia. Nel centro Italia accompagna di solito le persone attraverso il podere seminato a girasoli verso la casa signorile o, in piacevole alternativa, verso il mare. Il pino si ferma educatamente prima delle dune e resta, compitamente in punte di radici, proteso verso il mediterraneo amante com’è dell’odore di salsedine.
Per quanto riguarda l’odore della terra invece, per un attimo almeno una volta al giorno, c’è un posto dove si può sentirne l’odore. La flagranza è mischiata alle urla dei ragazzini e al verde dell’erba. C’è un campo di calcio brullo, niente affatto in periferia che odora di terra, magari mischiata a mota, ma pur sempre terra. Si trova in via Rossetti ed è circondato come in un progetto medievale per renderlo inespugnabile prima dall’erba, poi da siepi e purtroppo da una cancellata in ferro. Dentro ci sono ragazzi uguali a quelli di qualsiasi altra città, paese o terra (appunto) che giocano a calcio. Se ci fossero gli spalti potrebbe venirmi in mente di guardarli giocare e far finta che tutto intorno non vi sia che il nulla, oltre ai ragazzini, il campo e l’aria. Respirare lì fa sorridere. Dentro.
Andrò in pellegrinaggio in Via Rossetti quanto prima! Complimenti ancora per l’ottimo articolo. L’ho letto due volte!
Non vi leggevo da tanto… E da tanto non sento l’odore di ragù… Poco fa invece,sì
Grazie Paolo
Raccomando a tutti il Giardino degli Aromi, all’ex-Pini. E’ un posto meraviglioso, dove ci si dimentica di essere a Milano.
E’ un orto libero dove chiunque può andare a passeggiare e a respirare. Ci sono conigli, gatti, cornacchie, topi, ricci un falco, e di notte perfino una volpe!
Si respira odore di terra, di erba, di foglie secche, di aromi che ti restano sulle mani dope che hai sfregato le dita su qualche coltura.
Se non si vede, non si riesce a credere:
http://www.ilgiardinodegliaromi.org/
Grazie Norma! Pubblico il tuo consiglio sulla bacheca di Onalim.