Questo racconto ha partecipato al concorso letterario “Il pianoforte smarrito” ispirato a un fatto di cronaca, realizzato in collaborazione con Belleville La Scuola e PianoCityMilano.
Despiértate
di Giulia Carini
Toccava a Johnny star dietro al volante. Si sedette stiracchiandosi e radunando le forze. Erano le due del pomeriggio. Accese la sigaretta appena fatta e alzò il volume della radio sorridendo alle prime note di 500 miles. Schiacciò l’acceleratore riportando il furgone sulla carreggiata polverosa, infinita e come sempre deserta. Ben, di fianco, si stava sistemando per dormire. Si era tolto le scarpe e aveva fatto scorrere all’indietro il sedile appoggiando i piedi sul cruscotto nella solita posizione. Ogni volta gli veniva da pensare che la Volkswagen fosse andata a prendere la forma dei suoi piedi durante il sonno, tanto era comodo quel cruscotto. Si addormentò subito, nonostante il sole che picchiava dal suo lato e lentamente gli colorava l’avambraccio.
Johnny non si era subito reso conto di cosa stava succedendo. Con la musica alta aveva sentito a malapena lo sparo nella notte. Il pneumatico cedette improvvisamente sotto il peso del veicolo e lui perse il controllo intanto che Ben bestemmiava. Sterzò e il furgone frenando si allontanò sempre più dalla strada finendo nella sterpaglia. Hai sentito anche tu uno sparo? No, che cristo di sparo? Ho sentito solo la ruota di merda che ci lasciava e adesso cosa cazzo facciamo? Non era riuscito a ribattere che il secondo sparo aveva messo a tacere Ben per sempre. Nel buio completo aveva colto soltanto la forma dell’amico accasciarsi sul suo amato cruscotto e il rumore indicibile di un corpo che la vita sta abbandonando. Senza opporre resistenza si era lasciato trascinare fuori dal furgone da un uomo che urlava in spagnolo. Con un colpo secco alla testa si addormentò.
Bravo chico, despiértate, bravo. Si sentiva il viso piacevolmente fresco, ma la testa esplodere. Riprese conoscenza e riaffiorarono gli eventi un po’ frammentati. Alla debole luce del primo mattino tre persone lo fissavano. Erano giovani e armate. Quello che doveva averlo svegliato parlava anche inglese. Gli portò da bere e da mangiare e gli disse cordialmente che avevano bisogno del suo aiuto. Intanto che ingurgitava a fatica vide il suo furgone vuoto, tranne che per il pianoforte. Tutti gli altri oggetti erano in un altro appena più in là. Si misero tutti e quattro a sollevare lo strumento e lo appoggiarono in mezzo agli arbusti. Uno prese a schiacciare i tasti con il mitra ridendo insieme all’altro. Il ragazzo cordiale non rise e smisero subito.
Cadde a terra il primo, ferito al ginocchio. Il colpo veniva da lontano. Il secondo si nascose dietro il furgone sparando all’impazzata. Il ragazzo cordiale non si mosse, rimase vicino al pianoforte. Arrivarono tre camionetas ciascuna armata di quattro uomini. Scesero volti indistinguibili tranne uno. Un vecchio ingobbito e secco che andò al pianoforte e restando in piedi cominciò a suonare. Johnny era rapito da quelle mani esili correre sui tasti e dal suo volto inciso da solchi profondi. Dopo un tempo indefinibile smise, e con un cenno del capo vennero uccisi i due chicos. Il ragazzo cordiale non fece una piega e morì anche lui accasciandosi con grazia. Il vecchio fissò a lungo Johnny con i suoi occhi acquosi e trasparenti e tornò al veicolo. Ripartirono portandosi via i due furgoni. Rimasero i morti, Johnny e il pianoforte, ospiti del deserto.