Racconti dal tuo quartiere: Corvetto.
Racconti dal tuo quartiere: Daniele Bianchi
Foto di Silvia Azzari
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“Uh che mal di schiena, non è possibile alla mia etá soffrire di un dolore del genere” borbotta Pierpaolo lagnandosi, “la stessa storia tutti i santi giorni, per non parlare delle braccia e della sciatica, non mi lasciano in pace cinque minuti”.
Lui, nato in Corvetto da genitori nati in Corvetto e che non si sono mai mossi da li, le strade era perfino stufo di vederle da quanto le conosceva nonostante non si sia mai mischiato alle compagnie goliardiche di zona; sin da piccolo aveva preferito rintanarsi nella sua camera che dava sui sabbioni per poi al massimo ritrovarsi durante la bella stagione a giocare in cortile, senza mai oltrepassare il cancello marrone. Adesso che i suoi non ci sono piu´ la casa è tutta per lui e lo dimostra con il suo fanatico impegno e con la sua maniacale pedanteria nel rompere le scatole durante le riunioni di condominio. Tutti lo conoscono ma lui saluta a malapena se non con un cenno del capo, poi pero´si fa sentire con prepotenza se i bambini giocano a nascondino sotto i balconi. “Il platano lo hanno appena potato, disgraziati!!” urla affacciato alla finestra col tipico atteggiamento di chi non ha un cazzo da fare tutto il giorno. “Beh, almeno qui non siamo in via Panigarola o in via dei Cinquecento, quel covo di malnati, da quelle parti non ci vado mai, troppa gentaglia che rompe le balle. Noi qui siamo dall´altro lato di Gabrio Rosa, quello borghese, e tale deve restare! Che diamine!”
Corvetto, la Penny Lane di Milano, dove tutti si fermano a salutare il barbiere, i prestinai sono un´istituzione, i parchi sono nebbiosi da ottobre a marzo e durante il mese di Maggio, per Santa Rita arrivano le giostre che regalano colori, zucchero filato e musica ma non per lui, non per Pierpaolo. Lui i Beatles non sa neppure chi siano.
Un bel giorno, decide di recarsi dal medico in via Marocchetti, per farsi fare un check up e magari farsi prescrivere un rimedio medicamentoso che riesca magicamente a porre fine alle sue inspiegabili sofferenze. Il tragitto da casa sua all´inizio di via Barzoni fino allo studio medico lo avrá percorso almeno 3.286.514 volte.
Si infila il cappotto di lana e si arrotola la sciarpa al collo “Non si sa mai, un colpo di vento e sono fatto”; uscendo chiude la porta blindata con forza assicurandosi tre volte di aver dato alla serratura quattro mandate e comincia a scendere dal quarto piano passando il dito sul passamano per constatarne la quantita´ di polvere accumulata e ne basta un soffio per farlo incazzare. “Ma non ci vede il custode? Ma dico io, noi li paghiamo eh! Alle prossime riunioni mi sentono questi maledetti!”
Suo malgrado si accorge di aver dimenticato di comprare qualcosa per la cena e si ritrova a dover andare dal casaro dalla parte opposta di piazza Gabriele Rosa, il lato “proibito”. “Porco cane mi tocca andare di la dalla marmaglia”. Cosi´ fa il giro lungo passando davanti al panificio della famiglia Albanesi, al negozietto di aggeggi elettrici del Sig. Cipolla e, giunto all´angolo della pizzeria Demus, attraversa la strada. Pierpaolo è noto per il suo anonimato, tutti lo conoscono ma non sanno chi sia; si è sempre fatto i cazzi suoi e non scambia quasi mai parola con nessuno, oltretutto quando vuole farsi una passeggiata non va mica al parco delle Rose, storico polmone verde di Corvetto che ospitava il Porto di mare ed uno dei locali notturni piu´ famosi di Milano che è stato fucina di grandissimi artisti della scena musicale anni 60, di solito si sposta verso la chiesa di San Luigi, dove preferisce di gran lunga andare a messa.
Entrato nel casaro non puo´ fare a meno di squadrare la gente con occhio pesantemente critico passando in rassegna i difetti che proprio non riesce a digerire. “Che orrore, se fossi in lei non andrei in giro, mi chiuderei in casa” pensa squadrando la cassiera non piu´ giovane, truccatissima e coi capelli neri cotonati “Che visione raccapricciante, oh guarda quello li´, ma dove li compra i vestiti, alla fiera del terremotato? E quella ragazza, non è brutta ma è troppo esaltata, che lavoro vuoi che faccia una cosi? Secondo me fa la segretaria in un ufficio grigio e noioso, sarebbe quel che si merita e poi dove vuoi che abiti, al massimo in via Comacchio, se le va di culo in via Bessarione.” “Due etti di crudo dolce per cortesia” dice al commesso che lo guarda pimpante e servizievole “ma me le divida come si deve le fette eh perché la scorsa volta l´incarto non era perpendicolare, una fatica a staccarle! Quello zola li com´e´?” “Bello saporito e cremoso” fa il commesso. “Bene allora mi dia il taleggio grazie”. Deve sempre farsi riconoscere Pierpaolo. Dopo aver pagato pensa bene di sfuggire percorrendo fino al semaforo viale Martini passando davanti al Vivá e oltre dall´altra parte costeggia il giornalaio e il vecchio hotel Corvetto, covo secolare di dormite trasgressive e orgasmi illegali. Gira in via Boncompagni ed arriva fino al collegio delle suore e all´angolo dove una volta c´era il calzificio Roberta di Milano. “Cacchio sono andato troppo avanti! Il dottore è sotto i portici di fianco alla cartoleria!” Torna quindi indietro percorrendo i portici fino al termine e svolta a destra.
Giunto a destinazione, si infila nel portone dove al pianterreno è situato lo studio del dottor Terzi. “Uh, adesso mi tocca vedere quella smorfiosa antipatica della segretaria” pensa. Entrato fa un misero cenno col capo in segno di saluto e lei fa lo stesso “visto, neanche mi saluta sta cafona, e poi mi guarda sempre male, mi viene il mal di fegato anche solo passare a ritirare le ricette”.
Sedutosi su una delle vecchie poltrone di velluto verde presenti nello studio, prende una rivista di quelle del comune di zona 4 e comincia a sfogliarla.
Era un´edizione celebrativa con le foto d´epoca di Corvetto, quando c´era ancora il porto di mare, dietro l´oratorio di via Piazzetta c´erano solo campi, la metro non esisteva e si doveva prendere il 13 per andare in Duomo a respirare l´aria della Milano meno operaia e piu´ simbolo di un sogno che si stava realizzando, che non era sperare di terminare la propria vita dietro un tornio alla Breda o bersi un paio di spruzzati tutte le sere al bar di via Don Bosco, il sogno si chiamava vita. C´era la “latteria”, il “prestinaio”, il mercato rionale coi calzolai, il “droghiere” storico attraverso il quale chi non aveva ancora la tv imparava a conoscere i prodotti colorati che stavano iniziando ad apparire sul mercato, gli ortolani, la trattoria con la bocciofila e le carte, dove ci si incontrava tutti con le proprie origini ed esperienze ma tutti accomunati dalla voglia di costruire, di rendere grande Milano partendo proprio da qui, dalla sua Penny Lane. Del resto lo hanno fatto anche i Beatles ma Pierpaolo non aveva idea di in quale paradiso spazio temporale si trovasse.
Ad aspettare c´erano solo due persone che non aveva notato essendo assorto nelle visioni del boom economico che hanno vissuto i suoi genitori e dopo un po´ viene chiamato dentro dal dottore che gli porge la mano e lo fa accomodare.
“Salve, mi dica signor Magagni, come posso esserle utile?”
“Ah dottor Terzi, meno male che sono qui, lei mi conosce, e´ da un po´che non le faccio visita ma le cose non sono cambiate di molto, non mi sento bene, soffro di dolori sparsi per tutto il corpo originati dalla schiena; la sciatica mi fa soffrire, le braccia sono pesanti, le ginocchia non sono stabili, insomma un disastro.”
“Senta, come va l´umore?”
“Umore? Ma io ho mal di schiena, è quello che mi rende la vita impossibile, l´umore non c´entra.”
“I dolori sono persistenti?”
“Si, sempre presenti, di continuo e lo dico ma nessuno mi crede, sono stufo!”
“Mi dica una cosa, signor Magagni, qual è stata l´ultima volta che si è sdraiato sull´erba ad osservare il cielo?”
“In che senso, scusi? Non so di cosa stia parlando”.
“Magari un pomeriggio fuori porta, al parco. Non deve per forza esserci il sole, anche il grigiore puo´ essere colmo di ispirazione, l´odore della nebbia che non ti fa vedere a mezzo metro, il Duomo dopo un temporale, il profumo del pane dei prestinai, e perché no magari anche un bianchino al bar ogni tanto fa bene. Non trova signor Magagni?”
“No scusi dottore, io non la capisco, mi sta dicendo che sono pazzo??”
“No, assolutamente. E´ semplicemente di Corvetto.”
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