Rebecca Covaciu è un’artista Rom di 16 anni che vive a Milano. E’ una ragazza che vuole più di ogni altra cosa far conoscere la cultura Rom. Rebecca ha uno sguardo sveglio e magnetico ed è fortemente empatica. Insomma è un’adorabile affabulatrice.
Onalim: Ciao Rebecca. Io ho un blog su Milano, quindi ti farò delle domande su Milano.
Rebecca: Va bene.
Onalim: Da quanti anni vivi a Milano?
Rebecca: Io e la mia famiglia siamo partiti quando avevo 6 anni e siamo stati in Brasile, poi in Spagna, in Francia, e poi in Italia. In Italia siamo stati a Gevova, in Basilicata e a Napoli. Poi siamo arrivati a Milano cinque anni fa, e qui ho trovato la scuola.
Onalim: Quindi sai parlare tante lingue?
Rebecca: Si, so parlare sette lingue: italiano, spagnolo, francese, rumeno, rom, indiano e un po’ d’inglese. L’inglese lo sto studiando adesso a scuola.
Onalim: Sai che io sono stata in Romania quest’estate?
(Lo sguardo di Rebecca si accende)
Rebecca: Ti è piaciuta?
Onalim: Si, tantissimo.
Rebecca: Dove sei stata?
Onalim: Sono stata a Bucarest, in Transilvania a Sibiu, Sighisoara e Targu Mures, ho visitato i Monasteri delle Bucovina, a Sapanta vicino l’Ucraina, e a Cluj Napoca. A te piace la Romania?
Rebecca: Si, è bellissima ma c’è tanta povertà.
Onalim: Vendendo i tuoi disegni, riesci a mantenerti a scuola e mantieni anche tutta la tua famiglia.
Rebecca: Si perché nella mia famiglia nessuno lavora. Ma ognuno cerca di fare qualcosa.
Onalim: Ti piace la scuola?
Rebecca: Si. Un po’ di tempo fa ho fatto un sogno, in cui un angelo mi portava in un posto sulle montagne, dove c’erano tante baracche pulite. Lui mi lasciava entrare nella mia baracchina, e quando entravo c’erano un sacco di colori e di tele, e io prendevo un pennello e cominciavo a dipingere un paesaggio. A quel punto, una voce mi diceva “Con questi disegni che farai la gente si ricorderà di te”. E così ho deciso di andare a scuola, perché anche se la mia vita è stata un po’ triste e con la pioggia, qui dentro la scuola non piove.
Onalim: Da poco tu e la tua famiglia vivete in una casa e pagate l’affitto.
Rebecca: Si, ma in questa casa non c’è il riscaldamento, non ci sono le finestre. Però grazie al preside e agli insegnanti che mi hanno aiutato a pubblicare il mio libro, sono riuscita a pagare l’affitto.
Onalim: Come sono i tuoi compagni di classe?
Rebecca: Quelli delle medie, erano un po’ più razzisti. Qui invece al liceo artistico Boccioni sono meno razzisti, forse perché sono artisti e hanno meno pregiudizi.
Onalim: Ma secondo te hanno pregiudizi verso Rebecca o verso i Rom?
Rebecca: Li hanno sulla mia cultura, perché sono zingara.
Onalim: Quindi non su di te.
Rebecca: No.
Onalim: I tuoi compagni sono curiosi della tua cultura?
Rebecca: Io ho cominciato a raccontare la mia vita, la mia esperienza, e alcuni hanno capito e si sono interessati, e adesso questi sono miei amici. Altri invece non vogliono ascoltare.
Onalim: Ti è capitato di andare a casa dei tuoi amici?
Rebecca: Si, una mia amica mi ha invitato perché io suono il violino e suoneremo il violino insieme. Adesso io le ho prestato il mio violino perché lei non ce l’ha.
Onalim: Cosa sai suonare con il violino?
Rebecca: So suonare solo una canzone Rom.
Onalim: E tu sei curiosa della cultura dei tuoi compagni?
Rebecca: Si, perché è diversa dalla cultura Rom. A volte chiedo cosa significa per loro essere “fidanzati” oppure cosa mangiano.
Onalim: Ti piace il cibo italiano?
Rebecca: Si, è molto sano. I Rom mangiano solo carne e pollo, perché nelle baracche non abbiamo la cucina, ma cuociamo tutto sul fuoco. Non possiamo fare la zuppa ad esempio, perché le pentole sulla legna diventano tutte nere.
Onalim: Che materie ti piacciono?
Rebecca: Mi piace storia dell’arte, ma mi piacciono un po’ tutte. Ho qualche difficoltà in matematica e in inglese. Perché io le lingue le ho imparate sempre sentendole parlare in continuazione. Invece a scuola l’inglese si studia solo una volta alla settimana. Ad esempio l’indiano l’ho imparato con le canzoni dei film di Bollywood.
Onalim: Cosa ti piace di Milano?
Rebecca: Mi piace il cielo. Lo so che non lo dice nessuno, ma verso le 11 io guardo il cielo e sono contenta perché vedo quelle stelline. E poi mi piace questa scuola, tanto.
Onalim: Milano ti sta un po’ aiutando?
Rebecca: Si, anche grazie al fatto che ho potuto pubblicare il libro.
(Rebecca mi mostra il quaderno originale con i disegni da cui è nato il libro “L’arcobaleno di Rebecca”.)
Onalim: Anche gli altri paesi sono razzisti verso i Rom?
Rebecca: Si ad esempio in Spagna c’è una legge che dice che i Rom non possono vestirsi a loro modo, con le gonne, ma devono vestirsi come gli altri, altrimenti gli fanno una multa di 500 euro. Allora adesso in Spagna i rom si vestono tutti di nero.
Onalim: Perché?
Rebecca: Perché la gente si lamenta che i Rom non si vogliono integrare. Ed è una cosa tristissima. Allora una volta in Spagna ho visto un Rom per strada vestito di nero che aveva un teatrino, ma le marionette erano vestite tutte colorate. Ed era bellissimo.
Onalim: Tu cosa pensi dei Rom?
Rebecca: Penso che non sia giusto che i Rom siano sempre discriminati, soprattutto i bambini che vorrebbero andare a scuola.
Onalim: I bambini Rom vorrebbero andare a scuola?
Rebecca: Certo ma non hanno la possibilità. Questo libro l’ho fatto per me ma anche per gli altri bambini che soffrono. Io mi sento male quando ci penso.
Onalim: Cosa vorresti che cambiasse?
Rebecca: Con questi disegni vorrei fare conoscere la nostra cultura, perchè i Rom non si fanno conoscere tanto. Se si vuole conoscere la cultura Rom bisogna avvicinarsi a loro e capire perché non si mostrano, perché non vanno a scuola.
Onalim: I Rom vorrebbero lavorare?
Rebecca: Si, ma la gente non ci dà lavoro. Quando chiediamo l’elemosina è perché non abbiamo lavoro. Io ringrazio di potere andare a scuola.
Onalim: Tu hai chiesto l’elemosina. Come si fa a convincere uno che passa a darti dei soldi? Con lo sguardo?
(Rebecca mi ipnotizza con lo sguardo)
Rebecca: No, io da piccola non insistevo molto, chiedevo solo una monetina. E poi ho deciso di non chiedere più l’elemosina, ma di vendere i miei disegni.
Onalim: Da grande immagini di fare la pittrice, o la pittura è solo un mezzo per vivere un po’ meglio?
Rebecca: Io da grande vorrei occuparmi di diritti umani. Vorrei portare i miei disegni nei campi Rom, e attraverso l’arte parlare di diritti umani. Ma vorrei anche andare negli ospedali e fare dipingere i malati per farli stare bene, perché quando dipingi ti sfoghi, come quando canti una canzone. L’arte è come uno psicologo.
Onalim: E’ proprio così. Chi è un pittore che ti piace?
Rebecca: Frida Kahlo, Basquiat…e Van Gogh mi piace tantissimo.
Onalim: Anche a me piace tantissimo.
Rebecca: Frida Kahlo era una donna meravigliosa che ha saputo mandare dei messaggi parlando attraverso simboli. E poi Basquiat perché era molto povero.
Onalim: Gli artisti ti piacciono anche in base alla loro storia?
Rebecca: Si.
Onalim: Ci vai a vedere i musei qui a Milano?
Rebecca: Sono stata al Museo del 900.
Onalim: E alla Pinacoteca di Brera?
Rebecca: Non ancora, ci andrò, forse questa settimana, a respirare un po’.
Onalim: Tu hai solo 16 anni. A proposito quando li fai 17?
Rebecca: Il 25 gennaio. Solo che da noi in Romania gli anni si calcolano in modo diverso e ne faccio 16.
Onalim: Comunque diciamo che hai 16 anni e hai già pubblicato un libro, hai vinto un premio Unicef, in questi giorni c’è una tua mostra al Bridewell Theatre di Londra e i tuoi quadri sono in un museo di arte Rom…
Rebecca: Si in Hawaii.
Onalim: ..cosa pensi di tutto questo che ti sta succedendo?
Rebecca: Sono molto contenta perché è un inizio. Per me l’artista non è un artista e basta, l’arte è importante per dire delle cose, per mandare un messaggio.
Onalim: Tu quando vai in giro ti fermi a parlare con le persone?
Rebecca: Si, io mostro i miei disegni e mi fermo a raccontare la mia storia. A volte disegniamo anche insieme.
Onalim: Disegnate insieme?
Rebecca: Si, a volte faccio dei ritratti.
Onalim: La gente ama i ritratti.
Rebecca: Si.
Onalim: Tu vai a vendere i tuoi quadri alla mostra dei pittori sui Navigli?
Rebecca: Si si.
Onalim: Cosa dice la tua famiglia?
Rebecca: Sono molto contenti, perché loro non hanno avuto la stessa possibilità. Sono molto orgogliosi di me. E poi li aiuto a pagare l’affitto.
Onalim: Quando hai il tempo di disegnare?
Rebecca: La mattina vengo a scuola, poi vado a casa e disegno un po’, poi faccio i compiti e verso le 6 fino alle 10 di sera vado a venderli al Duomo e sui Navigli.
(Apro il suo libro e le chiedo di alcuni disegni)
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Onalim: Chi sono questi due?
Rebecca: Questo quadro si chiama “Rimane un mistero”.
Onalim: E questi due invece cosa stanno ballando?
Rebecca: Un ballo Rom.
Onalim: In questo quadro che a me piace tanto, chi hai dipinto dentro la lacrima?
Rebecca: La mia famiglia, le nostre baracche e le gru che le hanno buttate giù.
Rebecca: Si, sono io da grande. Magari vuoi chiedermi “Perché nel disegno ho gli occhi verdi?”
Onalim: Anch’io gli occhi me li sarei disegnati verdi, anche se li ho scuri come i tuoi.
(lo sguardo di Rebecca si accende di nuovo)
Rebecca: Meno male che mi capisci, perché io mi vedo così.
Onalim: E poi il verde sta bene con il colore delle labbra.
Rebecca: Si.
Onalim: Io ti ringrazio.
Rebecca: Si.
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Da un articolo “Zingari, sfatiamo i falsi miti”. Solo un terzo dei rom intervistati abita in una vera e propria casa: il 41% abita in campi regolari, il 24% in insediamenti “abusivi”. Tra i rom e i sinti con più di 15 anni, il tasso di occupazione (cioè la percentuale di coloro che hanno un lavoro) è del 34,7%, circa dieci punti in meno del dato italiano complessivo (44,3% secondo l’Istat). Molti rom sono lavoratori autonomi, mentre i dipendenti a tempo pieno e indeterminato sono appena il 6,7%. L’emarginazione sociale dei rom non dipende dunque dalla loro “cultura”, né tantomeno dalla loro “natura”: a determinare la traiettoria di vita delle persone è invece la condizione abitativa. Stare in una casa “normale”, o vivere in un campo, fa la differenza: e i rom e i sinti – come tutti – possono inserirsi con successo nella vita sociale e nel mondo del lavoro, se non sono relegati in insediamenti precari ai margini delle nostre città. L’Italia non ha bisogno di “emergenze”, ma di politiche sociali serie e meditate.
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